Il lavoratore che abbia subìto un danno alla salute determinato da un incidente sul lavoro ha diritto a uno specifico risarcimento sia con riferimento alla sofferenza interiore patita che per il pregiudizio arrecato alla sua dimensione relazionale.
Il risarcimento del danno biologico al lavoratore (per invalidità temporanea o permanente) che si calcola in funzione di parametri tabellari predefiniti (età e percentuale dell’invalidità) deve essere necessariamente ‘personalizzato’ in considerazione di due distinti e ulteriori ambiti fenomenologici:
- l’aspetto interiore del danno sofferto (il cosiddetto ‘danno morale’ provocato dal dolore, dalla vergogna, dalla disistima di sé, dalla paura e dalla disperazione);
- l’aspetto esteriore o dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo sulla totalità delle relazioni del soggetto).
Pertanto, non costituisce una duplicazione risarcitoria la differente ed autonoma valutazione della sofferenza interiore patita dal lavoratore come conseguenza della lesione del suo diritto alla salute.
Costituisce invece un’illegittima duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico (inteso come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto) e del danno esistenziale, appartenendo tali ‘categorie’ o ‘voci’ di danno allo stesso spazio tutelato dalla norma costituzionale di cui all’articolo 32 della Costituzione.
(Corte di Cassazione, ordinanza 4 novembre 2020, n. 24473)